Trilogia della responsabilità: Dimmi

DIMMI, monologo per attrice

Premi:

Vincitore del Premio di Drammaturgia indetto dalla “European Association for the Jewish Culture” nel 2003

Vincitore del Premio di Scrittura “Le storie del Novecento” indetto dall’Istituto Storico di Alessandria nel 2003

Sinossi:

La legge Terracini del 1955 concede un assegno di benemerenza ai perseguitati politici antifascisti o razziali. Cinquecento discriminati presentano domanda ma solo dodici richieste sono state accolte fino ad oggi; le altre giacciono in attesa di istruttoria o sono state annullate per “rischio di grave danno erariale”. In molti casi è stato domandato di presentare una “storia delle persecuzioni” e addirittura di allegare un certificato di razza ebraica. Una giovane donna decide di stendere per conto della madre la storia della sua famiglia, toccata dalle discriminazioni; questa diventa l’occasione per un confronto con la sua origine, per iniziare un percorso identitario nel quale le saranno “fili conduttori” i personaggi femminili. La bisnonna, ebrea fiorentina che ha costruito con il suo lavoro le basi della famiglia, la nonna, un’ebrea ashkenazita, proveniente dalla Polonia dalla quale la famiglia paterna è fuggita per i terribili pogroms e la Madre bambina, vittima delle persecuzioni razziali, partigiano nella macchia grossetana durante l’adolescenza e costretta a rimangiarsi il dolore. E poi gli altri antenati e antenate scomparsi o dispersi di cui restano solo frammenti di ricordi e fotografie ingiallite che per un attimo lasciano intravedere o immaginare squarci di ambienti e atmosfere mai conosciute. A questi frammenti di passato che devono essere faticosamente ricostruiti ed integrati con l’immaginazione per diventare affettivi, la protagonista del monologo contrappone la storia di adesso: la sua e quella italiana. Il testo si muove su un doppio binario: da una parte una ricostruzione intima, privata fatta attraverso lettere, ricordi di famiglia che consente al pubblico di avvinarsi emotivamente al dramma delle persecuzioni, dall’altra un interrogarsi, attraverso le alterne vicende della Legge Terracini, sulla storia dell’Italia del dopoguerra e sul rapporto controverso degli italiani con la memoria dell’olocausto. ll monologo elabora insieme al pubblico il dramma dell’’emarginazione, la rabbia, la paura: storie che trovano spazio e ragion d’essere solo in un racconto tra umani, l’unico luogo dove è ancora possibile lenire questa antica ferita.

Rappresentazioni: Dimmi è stato presentato in varie città italiane: tra queste, Firenze, Empoli, Bucine, Pitigliano, Milano, Torino, Moncalieri, Lecco, Riccione, Cagliari, Modena, Reggio Emilia, Formigine, Sassari, Ozieri, Napoli.

IN DUE RIGHE:

La Storia della guerra, quella dei fatti e delle date, quella concreta, quella invece la conoscevo bene. La chiedevo a mia madre come se fosse Cappuccetto Rosso.

Dimmi.

Dimmi di quando caddero le bombe, di quando eravate nascosti.

E lei la ripeteva come un mantra, come un mito, sempre uguale, sempre  la stessa.

C’erano i partigiani, i fascisti, le fughe, c’era l’erba dei campi mangiata con l’aceto… “Dimmi” e partiva la storia della guerra.

Però crescendo ho cominciato a chiedere di più, a fare anche delle altre domande: per esempio, di che colore era quel vestito, com’era quella voce o quel modo di dire, oppure come faceva la poesia per la visita dell’Ispettore Fascista si, quella del ruscelletto oppure com’era avere paura.

E mia madre a quel punto si fermava e diceva che lei non lo sapeva.

Che quelle non erano cose importanti da sapere.

Paura, poesie! Erano cose astratte. Non erano cose pratiche.

Pratico per lei era mangiare, trovare un paio di scarpe, salvarsi.

Il resto, i particolari, dovevano restare nel silenzio.

Però quando lo Stato italiano ha dato questa risposta e mia madre l’ha appoggiata sulla scatola, che sarebbe sparita per sempre nell’armadio, a me è venuta voglia di parlare, di dire qualcosa di questa storia, della 38836, perché il silenzio è una coperta troppo pesante e non è possibile che una persona, la sua vita, la sua memoria, finiscano archiviate e diventino un numero, un documento.

E allora, 38836: si, stasera sarò io il ricorso a questa domanda respinta!

Certo, io non so niente di leggi, di tribunali, non son mica Perry Mason…

E poi non è questo il punto.

Il punto è se sia giusto dimenticare.

Il punto è se sia giusto lasciarsi alle spalle le colpe dell’Italia fascista, come se fossero quelle di un altro paese.

Il punto è la responsabilità.

Quindi questa storia, la 38836, io stasera vorrei provare a raccontarvela. 

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